Il corpo e il trauma
Una traccia somatica
Tutti noi possiamo essere esposti ad eventi che vanno al di là della nostra capacità di elaborazione e di tolleranza.
Un incidente, una catastrofe, una violenza subita rappresentano tutti degli eventi traumatici.
Potenzialmente, perché il trauma psichico presuppone un preciso stato mentale, il sentimento di impotenza.
Per questo motivo quando parliamo di singoli eventi é molto importante la mediazione attraverso lo stato mentale soggettivo.
Inoltre, quando queste esperienze sono dei casi isolati, quando sono seguite da un adeguato sostegno, noi possediamo la capacità di superarle. Di integrarle nella nostra storia nonostante la loro portata distruttiva.
Quando invece gli eventi traumatici sono ripetuti nel tempo, se alla base non abbiamo avuto uno sviluppo affettivo ottimale o non abbiamo avuto a disposizione figure che fornissero cura e protezione, questi eventi possono lasciare un segno.
Questo segno è la riattivazione di una memoria implicita, scritta sul corpo.
Non dobbiamo pensare al trauma solo in termini estremi.
Anche una trascuratezza emotiva (neglect) in età infantile costituiscono un trauma.
Tanto più perché le capacità cognitive del bambino sono immature, e la dipendenza dalle figure genitoriali massima.
Massima cioè l’impotenza.
Le memorie traumatiche si manifestano sotto forma di un cambiamento del livello di attivazione, o arousal. Questi cambiamenti sono legati all’innesco di risposte di difesa, mediate dal sistema nervoso autonomo.
Vediamo come questo accade.
La finestra di tolleranza e l’attivazione
Lo stato di attivazione si trova ad un livello ottimale quando è all’interno di un certo range.
Al di sopra o al di sotto di questo, noi entriamo in uno stato di allerta, o arousal.
L’allerta segnala un pericolo.
Questo non implica che dovremmo vivere solo esperienze neutre o positive.
Non sarebbe infatti possibile evitare qualsiasi evento negativo.
Dovremmo però possedere una flessibilità tale da permetterci di sopportare alcuni eventi stressanti, se questi non superano in maniera imponente il range di tolleranza.
Di fronte a situazioni attivanti, o che ricordano quelle all’origine del trauma stesso, il corpo ripresenta la stessa attivazione memorizzata nelle situazioni precedenti.
A differenza di altri animali, noi esseri umani possiamo percepire come stimoli minacciosi non solo reali minacce fisiche, ma anche stimoli che abbiamo imparato a considerare pericolosi, come ad esempio un rimprovero, il ricordo di un evento.
In base alla nostra storia di attaccamento, anche ricevere un abbraccio o chiedere aiuto a qualcuno per essere confortati può rappresentare una minaccia e attivare i nostri sistemi di difesa.
Durante questi stati di disregolazione del livello di arousal (iper- o ipo-attivazione) la mente non ha possibilità di elaborazione e di integrazione.
Semplicemente si assiste ad una riedizione del vissuto traumatico e della risposta corporea di paura o terrore.
Il contributo di Porges
La teoria polivagale di Porges descrive tre sottosistemi del sistema nervoso autonomo, ovvero quella parte del sistema nervoso che controlla le funzioni vegetative, involontarie, come ad esempio il respiro e il battito cardiaco.
I tre sottosistemi sono organizzati in una gerarchia e governano le nostre reazioni neurobiologiche di arousal agli stimoli ambientali. Essi sono:
- il ramo ventrale parasimpatico del nervo vago (attivo durante l’impegno sociale)
- il sistema simpatico (attivo durante la mobilizzazione, in risposte di attacco/fuga)
- il ramo parasimpatico dorsale del nervo vago (attivo nell’immobilizzazione estrema da terrore)
Ognuno di questi tre sottosistemi corrisponde a ciascuna delle tre zone della nostra finestra di tolleranza: al primo corrisponde l’attivazione ottimale, il sistema simpatico si attiva con l’iperattivazione, e il nucleo dorsale parasimpatico invece corrisponde all’ipo-attivazione.
Il sistema più recente nell’evoluzione del cervello è il ramo vagale ventrale. Questo è attivo quando siamo nello spettro ottimale della finestra di tolleranza, facilitando l’interazione sociale, la formazione del legame di attaccamento e dei legami sociali in genere.
Il sistema viene disattivato quando, per ragioni legate alla sopravvivenza, sono necessarie risposte rapide di attacco o di fuga. In caso di pericolo. La risposta di immobilizzazione da ipo-arousal corrisponde agli stati di finta morte che i mammiferi mettono in scena come estrema difesa dai predatori.
Nella nostra quotidianità, quando il nostro livello di attivazione è all’interno della zona ottimale, l’arousal fluttua in maniera naturale in risposta agli stimoli ambientali.
L’attività del sistema nervoso simpatico e parasimpatico restano in equilibrio. Ciascun sistema si trova in lieve dominanza sull’altro in un dato momento. Questi aggiustamenti servono a modulare l’arousal in maniera adeguata.
L’iperattivazione
Le risposte di iperattivazione, collegate ad un’eccessiva attività del sistema parasimpatico, producono quella che comunemente conosciamo come risposta di attacco/fuga.
Le strutture cerebrali deputate alla pianificazione del comportamento, si scollegano funzionalmente da quelle che processano le emozioni, ovvero non c’è più comunicazione tra queste aree. Questa dis-integrazione funzionale non permette di regolare in senso inibitorio la risposta di paura. Questa perciò diviene estrema (freezing, fuga, evitamento attivo, oppure rabbia esplosiva).
L’ipoattivazione
La dis-regolazione da ipoattivazione si manifesta con uno stato di congelamento e immobilità cataplettica (flaccida), ottundimento e dissociazione dello stato di coscienza. La persona può sentirsi distaccata da sé, provare un senso di di offuscamento mentale oppure sentirsi isolata e/o separata dagli altri e dal contesto, de-realizzata.
Differenze individuali
Ciascun individuo ha un’ampiezza abituale della sua zona di arousal ottimale. Sulla base di questa, cambia in un dato momento, la capacità di elaborazione delle l’informazioni ambientali. La capacità di pianificare, organizzare attività quotidiane e gestire le relazioni sociali.
Le persone con una finestra di tolleranza più ampia riescono ad superare anche variazioni di arousal importanti e riescono comunque ad integrare l’informazione e gli stimoli ambientali in maniera efficace.
Coloro che invece hanno una finestra di tolleranza più ristretta, vivono le fluttuazioni come eventi destabilizzanti. Percepiscono gli stimoli come maggiormente attivanti. Incorrono con maggiore frequenza in stati di ipo o iper arousal.
Quali sono i fattori che influenzano la tolleranza di ciascuno?
Le variabili che determinano la nostra tolleranza ad eventi in grado di attivare i sistemi di difesa sono molte, le principali fra queste sono il temperamento e le esperienze di vita.
Molte persone sono più “eccitabili” o sensibili dalla nascita. Su questa base biologica agisce l’ambiente, la nostra storia di attaccamento e le esperienze successive nel corso degli anni.
Queste possono infatti sensibilizzare un individuo.
A che cosa serve tutto questo in terapia?
In terapia è importante imparare a divenire consapevole delle proprie soglie legate all’arousal e ad identificare i segnali somatici di arousal che oltrepassano la zona ottimale.
E’ anche importante laddove ce ne sia bisogno, espandere la soglia della finestra di tolleranza per prevenire stati di disregolazione emotiva.
Ciò permette alla persona di vivere relazioni più funzionali e di essere più efficaci nelle relazioni stesse. Migliorare le abilità metacognitive, ovvero la capacità di usare il pensiero per riflettere sui propri e altrui stati mentali. Sapere regolare e modulare le emozioni senza venirne travolti.
Alla luce di una storia di vita con traumi, una psicoterapia orientata alla stabilizzazione delle risposte di difesa gioca un ruolo centrale.
Per quanto abbiamo detto finora infatti, se la persona si trova in uno stato di ipo o iper arousal mentre parla del suo vissuto, questo può ostacolare il processo di integrazione e di rielaborazione delle esperienze.
Pertanto è centrale intervenire a partire da interventi bottom-up, o dal basso verso l’alto, passando per il corpo e le tracce somatiche del trauma. Solo in un secondo momento è possibile lavorare su un piano di funzioni intellettive superiori (ragionamento, inferenze ecc…) e cioè dall’alto verso il basso.
La psicoterapia sensomotoria di Pat Ogden è uno degli approcci terapeutici che agisce attraverso questa via, intervenendo a riscrivere le tracce corporee del trauma nella storia delle persone.
Per approfondimenti:
Il trauma e il corpo. Manuale di psicoterapia sensomotoria
Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche
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Modulazione dell’arousal, memoria procedurale ed elaborazione del trauma